La tradizione culinaria napoletana è molto ricca e complessa, varia da cibi semplici ma completi, come la pizza, ad artificiose e gustose pietanze. Molti anni addietro la pizza, così come i maccheroni, servivano ad ingannare la fame dei più poveri, che prorogavano il successivo pasto per almeno ventiquattro ore. Ma l'inganno durava settimane, mesi, fino all'arrivo di occasioni particolari, principalmente religiose, quando, tradimento alla miseria!, si cucinava ed assaporava l'impossibile. Ma finalmente ci si sedeva ad un tavolo davanti ad un lauto e generoso pasto. Era il momento in cui si riprendevano le forze e ci si ricaricava per il resto dell'anno, almeno fino ad un'altra festività. Per il resto si preferivano, o meglio ci si obbligava per cause maggiori a pasti veloci. Il maccaronaro era l'antico snack bar, davanti al quale posteggiavano i napoletani aspettando il loro piatto caldo da consumare in piedi o camminando. I maccheroni sono un'acuta invenzione della miseria. La più semplice, la più razionale, la più essenziale utilizzazione del grano. Si cuociono in molta acqua salata e bollente, si mangiano poco cotti, in modo che serbino un'ombra di durezza. Prima era usanza accompagnarli in bocca con le dita. Ma è la pizza che rispondeva alle esigenze e agli adattamenti della miseria, ancor più sottilmente. Era ed è una focaccia di acqua e farina appena lievitata, condita con lardo di maiale stemperato - la buona sugna - con quarti di pomodoro, fettine di mozzarella e foglioline di basilico. Oppure con olio di oliva, quarti di pomodoro, piccole alici fresche e spinate, molto origano e uno spicchio di aglio. Cotta nel forno dei panettieri, dopo aver riscaldato abbondante legna. La pizza si mangiava camminando, piegata in quattro, o a libretto.